“Per me si fa politica in ogni momento della vita: quello che mangiamo è politica, come trattiamo gli animali è politica, la natura è politica.
Anche i nostri vestiti lo sono. Perfino la spazzatura è politica”. (Olga Togarczuk, Premio Nobel Letteratura 2019)
Se ragionate per compartimenti stagni non capirete il nuovo contesto della fastpolitics: fa politica l’azienda che parla di valori e purpose invece che del suo prodotto o dei suoi servizi, l’atleta che prende posizione a favore del cambiamento sociale, il consumatore con i suoi comportamenti di acquisto.
Una mutata sensibilità da parte dei cittadini/consumatori fa sì che le imprese adottino sempre più un approccio politico che le spinge a schierarsi, a non restare politicamente neutrali. Per farlo serve un nuovo modo di operare e di acquisire nuove competenze e professionalità. Il brand in questo nuovo contesto assume un ruolo chiave racchiudendo il patrimonio simbolico e valoriale delle nuove imprese transnazionali: la comunicazione diventa sempre più emozionale, legata ai valori del brand ed in sintonia con l’opinione pubblica.
Non è un caso che le aziende che hanno per prime sposato questa nuova prospettiva sono quelle che già usavano emozioni e valori nella loro comunicazione. Caso emblematico è la Nike che, prendendo posizione contro ogni forma di discriminazione, ha usato Colin Kaepernick come testimonial per il trentesimo anniversario della sua campagna Just Do It. Si tratta dell’atleta che ha dato vita alla protesta dei giocatori NFL sul trattamento delle minoranze e che è ben simbolizzata dalla scelta di inginocchiarsi durante l’inno nazionale.
Iniziativa stigmatizzata da Trump che non ha tardato a rivolgere “insulti” a lui e agli altri giocatori coinvolti nella protesta. Kaepernick non ha più trovato alcuna squadra disposta ad ingaggiarlo.
Lo spot Dream Crazy
Lo spot ha avuto un indubbio potere polarizzante: il presidente Trump ha chiesto ai suoi sostenitori di boicottare Nike e si sono visti diversi i video con persone intente a bruciare scarpe dell’azienda di Portland in segno di protesta. Allo stesso tempo però le vendite online di Nike sono aumentate del 31% nei quattro giorni successivi al lancio della campagna. Il prezzo delle azioni Nike è diminuito per poi risalire, nonostante le minacce di boicottaggio, e ha raggiunto il suo massimo storico.
Il successo della Nike ha portato aziende concorrenti tradizionalmente più conservatrici a sposare la causa del brand activism: così Under Armour ha dato vita a Run to Vote per aumentare la partecipazione alle elezioni presidenziali del 2020 ed ha preso posizione con il suo CEO contro le proteste del 6 gennaio 2021 sfociate nell’assalto al Congresso americano.
La narrazione fatta dalla Nike ha avuto successo perché plausibile e coerente con la storia ed il posizionamento dell’azienda. Non sempre questo accade.
Anheuser-Busch aveva mandato in onda durante il Superbowl del gennaio 2021 (corrispondente all’insediamento di Donald Trump) uno spot dove l’azienda si raccontava attraverso la storia di un immigrato. Ma quello spot raccontava la storia di Adolphus Bush, arrivato nel 1857 negli Stati Uniti dalla Germania per inseguire il sogno di creare “The King of beer”. Sogno che diverrà realtà sei anni dopo attraverso l’incontro con Eberhard Ansehauer e la nascita di Budweiser.
Uno spot che celebrava il coraggio degli immigrati arrivati in America per inseguire uno dei tanti sogni che sono alla base del successo e dell’unicità degli Stati Uniti.
Recentemente il loro brand “Bud Light” ha avviato una promozione con l’influencer transgender Dylan Mulvaney che mostrava una lattina con il suo volto che celebrava la serie “365 giorni di sorellanza” nella quale raccontava la transizione a donna. Il post ha generato immediatamente una reazione sdegnata sui social, anche da parte di volti noti come i cantanti Kid Rock e Travis Tritt, ed una campagna di boicottaggio. Vendite e titolo hanno subito una flessione a due cifre nel mese successivo.
Il tentativo da parte della dirigenza Anheuser-Busch di prendere le distanze ha provocato la reazione da parte della comunità LGBT che ha portato alla rimozione dei prodotti da molti locali. In questo modo sono riusciti a scontentare sia i più conservatori sia i più progressisti.
La differenza tra Nike ed Anheuser-Busch è legata al coraggio di sostenere le scelte e probabilmente alla mancata comprensione della propria base consumatori. Due terzi dei consumatori Nike sono under 35, il 50% appartiene a minoranze, le vendite sono aumentate nelle città: per chi si occupa di marketing politico è evidentemente una base progressista. Molto diversa da una base consumatori della Bud Light composta prevalentemente da maschi, spesso single e che sui social seguono football, baseball, sport estremi, poker e rap.
Il brand activism è una attività complessa che ha molti punti di contatto con la comunicazione politica; per questo motivo suggerisco ai miei studenti che aspirano a divenire consulenti politici a considerare non solo le campagne elettorali ma anche brand activism e corporate diplomacy, due attività che richiedono una “sensibilità” politica per avere successo.