Nella sua interessante intervista al Corriere della Sera Tony Blair conferma che non aveva un cellulare «davvero. Non l’ho mai voluto, con mia grande soddisfazione. Se dovevo prendere una telefonata, la prendevo».
Se ora è quasi impensabile che un leader non abbia un cellulare è però significativo l’uso improprio che molti esponenti politici ne fanno e questo aspetto è sottolineato dall’ex premier britannico: «Mi colpisce la disinvoltura con cui oggi molti leader usano Whatsapp, Telegram, Signal e varie piattaforme per comunicare. Non mi sembra sicuro».
Non si tratta semplicemente di sicurezza informatica, ma dell’impatto che comunicazioni private rese pubbliche e post sui social abbiano un impatto significato sulla reputazione e credibilità. Rispetto alla televisione che permetteva un maggior controllo, i social rappresentano una sfida complessa per il controllo dell’immagine: si è continuamente esposti non solo a errori sui propri profili, ma anche ad attacchi attraverso foto o filmati «rubati» in pubblico.
Ho letto qualche collegamento tra la vicenda del ministro Sangiuliano ed i primi scandali sessuali di Bill Clinton. Quest’ultimo, durante le primarie del 1992, riuscì a salvare la propria carriera politica, minacciata dagli scandali a sfondo sessuale, anche grazie a un’intervista rilasciata con la moglie al fianco durante la trasmissione 60 Minutes della Cbs: «Ho riconosciuto di aver provocato dolore nel mio matrimonio. Penso che la maggior parte degli americani che ci vedono questa sera capirà quello che stiamo dicendo, se ne renderà conto e sentirà che siamo stati del tutto sinceri». Per l’esperto di psicologia applicata alla politica, Drew Westen, quella dichiarazione fu il segno di una grande intelligenza emotiva e permise a milioni di spettatori di rispettare l’ammissione di una debolezza umana, che Clinton aveva in comune con metà di loro, e di riconoscere che si trattava di un fatto privato tra lui e la moglie: «politicamente la questione morì li».
Vedremo presto cosa sarà di Sangiuliano, ma la lezione di questa vicenda è legata alla cattiva gestione dell’esposizione mediatica. Nell’era della Fast Politics sono elementi chiave la capacità di gestione della propria immagine e l’abilità di comunicare ed entrare in sintonia con gli elettori.
La gestione dell’immagine è legata alla costruzione del profilo di identità e alla sua traduzione in un profilo di immagine che
traduce in comportamenti, atteggiamenti e segni visibili il profilo di personalità. È, in altri termini, la sua rappresentazione esterna, la sua messa in scena per il pubblico che guarda.
Nelle elezioni presidenziali statunitensi la personalità ha assunto un ruolo fondamentale nel corso della campagna, con i candidati che spendono molto del loro tempo per spiegare come le loro esperienze precedenti li abbia resi pronti al ruolo di presidente, e come saranno in grado di fronteggiare crisi e situazioni impreviste. Questo è anche il risultato del funzionamento dei media, che tendono a costruire stereotipi dei candidati più incentrati sulla personalità che sui programmi.
Accettando le logiche dell’intrattenimento, i politici possono avvicinare la loro immagine agli elettori dimostrando che anch’essi sono persone comuni e, di conseguenza, possono comprendere i problemi della vita quotidiana (umanizzazione), oppure apparire come vere e proprie star. Utilizzando aspetti privati nella costruzione della loro immagine, tuttavia, si espongono a ulteriori incursioni nella loro sfera privata da parte dei media. Un’arena aperta a milioni di individui sottopone continuamente i leader al rischio di perdere il controllo della propria immagine e, di conseguenza, la propria credibilità. Quest’ultima è una risorsa fondamentale che, una volta persa, è molto difficile da riconquistare.
Meditate, politici, meditate.