Per spiegare la strategia di comunicazione di Trump viene spesso citata la frase del suo consigliere Steve Bannon: «I Democratici non contano niente. La vera opposizione sono i media. Ma i media sono stupidi e pigri, sanno concentrarsi davvero solo su una cosa alla volta. Quindi tutto quello che dobbiamo fare è inondarli. Ogni giorno tirare fuori tre cose diverse. Si attaccheranno a una ma faremo le altre due. E andremo avanti ogni giorno così, bang, bang, bang. Non si riprenderanno».
In realtà questa è una tattica che ha lo scopo di occupare completamente il dibattito pubblico ben sapendo che ci sono molte più possibilità di far notizia quando si è “controversial, controversial, controversial” come sostengono da diversi anni i consulenti politici americani.
Le dichiarazioni provocatorie di Trump sono spesso cortine di fumo che servono ad alzare l’asticella, permettendogli poi di raggiungere i suoi reali obiettivi.
Per capire la comunicazione di Trump consiglio la visione di The Apprentice, il bel film di Ali Abbasi, che racconta gli anni di formazione di Donald Trump.
Il controverso avvocato Roy Cohn (interpretato da un magistrale Jeremy Strong), facendogli da mentore, insegna a Trump tre regole:
1) attacca, attacca, attacca;
2) non ammettere niente, negare ogni cosa;
3) dire che hai vinto e non ammettere mai la sconfitta.
Queste tre regole le vediamo applicate quotidianamente: Trump è sempre all’attacco, con le sue dichiarazioni costringe gli interlocutori sulla difensiva. Sul tema aiuti economici all’Ucraina è stato corretto più volte (anche dallo stesso Macron in diretta dalla Casa Bianca), ma continua a rilanciare e ad insistere. Sul terzo punto inutile dire che tuttora sostiene di non aver perso nel 2020.
Per affrontare al meglio le regole che Trump utilizza sempre ci sono tre possibilità:
1) Lamentarsi che è scorretto, cafone e non dice la verità;
2) provare a batterlo usando le sue stesse regole;
3) spiazzarlo con una nuova rottura delle regole.
La prima è inefficace e controproducente se si pensa di recuperare consensi. Difendere lo status quo quando la maggior parte dei cittadini non ha fiducia nelle istituzioni e nei media tradizionali e vuole un cambiamento radicale è sbagliato.
La seconda è rischiosa perché si tende a scegliere l’originale e non la copia. Una delle buone regole del marketing politico (e non solo) è di essere differenti, credibili e pertinenti.
E veniamo al terzo punto, bisogna offrire un cambiamento differente e credibile. E bisogna usare un linguaggio chiaro e che sia “sticky”. Chi pagherà i dazi, i Paesi esteri o i consumatori americani? Gli incidenti aerei sono causati dalle politiche di inclusione o dal licenziamento del personale?
Trump va associato a personaggi poco amati. In campagna elettorale i Democratici sono stati indicati come il partito dei ricchi, ma chi sono i sostenitori di Trump se non i miliardari, le Big Tech e la stessa Big Pharma?
Ultimo aspetto è la capacità di trattare aspetti tangibili invece dei “massimi sistemi”: Trump ha promesso di ridurre il costo della spesa; le uova costano meno ora o prima della sua elezione? (era stato un argomento di campagna elettorale).
Poche e semplici regole che però per essere applicate richiedono disciplina ed un cambio di prospettiva sulla comunicazione.